Quando la primavera sembra ormai aver sconfitto la stagione invernale, le giornate si sono allungate e le temperature sembrano ormai inesorabilmente salire ecco che fanno la loro comparsa i “Santi di Ghiaccio”.
La tradizione popolare, soprattutto contadina, associa ai giorni tra l’11 e il 15 maggio, un brusco calo delle temperature, un colpo di coda dell’inverno legato ad una “singolarità metereologica”, un evento che ricorre con una certa regolarità in un determinato periodo dell’anno, e che porta a condizioni meteorologiche diverse da quelle che normalmente sono attese per tale periodo (come ad esempio l’”estate di San Martino”)
Esiste una tradizione, la cui origine sembra addirittura medioevale, che fonda la sua storia in secoli e secoli di osservazioni dei contadini, che ci ricorda come l’inverno, proprio in questo periodo possa fare la sua ricomparsa, in particolar modo sull’Europa centro settentrionale. Da qui nacque la credenza popolare dei “Santi di ghiaccio”, nome che evoca miti e leggende del nord Europa.
Ma chi sono i Santi di ghiaccio?
11 maggio: San Mamerto era un vescovo cattolico del V secolo, considerato molto colto. Secondo la tradizione, faceva spesso miracoli, come fermare incendi, curare la febbre o intervenire in caso di grave siccità.
12 maggio: San Pancrazio visse nel III secolo e morì come giovane martire della chiesa primitiva di Roma. Il suo nome significa “colui che sconfigge tutto”. Con la sua spada e la corona da martire, è spesso raffigurato in abiti eleganti o da cavaliere. Ricordiamo che è il patrono dell’omonimo paese della Val d’Ultimo (la festa patronale si svolge proprio il 12 maggio). Un proverbio recita: Wenns an Pankratius friert, so wird im Garten viel ruiniert. (quando si gela di San Pancrazio, molte rovine avvengono nei campi)
13 maggio: secondo le leggende, San Servazio era vescovo nel territorio dell’attuale Belgio nel IV secolo. Si dice che abbia previsto l’invasione degli Unni in Europa, che in realtà ha avuto luogo circa 70 anni dopo la sua morte. La sua assistenza è solitamente richiesta in caso di malattie del piede, danni da gelo e pestilenze dei ratti.
14 maggio: San Bonifacio di Tarso morì all’inizio del IV secolo nell’odierna Turchia. Per empatia verso i cristiani perseguitati fu battezzato e rimase fedele alla sua nuova fede. Dopo l’esecuzione, il suo corpo venne riportato a Roma.
15 maggio: Santa Sofia di Roma è l’ultima dei cinque Santi di Ghiaccio. La memoria di Santa Sofia e delle sue tre figlie, tutte martirizzate nel secondo secolo dall’Imperatore Adriano, viene festeggiata il 17 settembre (ma nel medioevo la ricorrenza cadeva il 15 maggio). L’iconografia le raffigura come quattro donne vestite a lutto. La “fredda Sophie” (die Kalte Sophie, come viene chiamata dai tedeschi) viene spesso invocata contro le gelate tardive per chiedere un buon raccolto.
Secondo la tradizione quindi, dalla giornata del 16 maggio….via alla semina e…alla bella stagione.
La Val d’Ultimo, come abbiamo già più volte scritto, è una valle ricca di acqua e vanta ben 4 delle 37 sorgenti riconosciute (con Deliberazione del 31.07.2018 n.752) dalla Provincia di Bolzano. Due si trovano nel comune di Ultimo: una è la sorgente di Oltreacqua o Sopracqua, di cui abbiamo già parlato, la seconda è la sorgente dei Bagnetti (Innerbad). Di quest’ultima si parla già nel 1697 come bagni per le persone meno abbienti. La frequentazione di questi bagni è testimoniata fino al 1914. Nel 2011 è stata creata una Oasi della quiete come quella fatta per le altre tre sorgenti. Per raggiungerla: sulla Strada Provinciale della Val d’Ultimo tra S. Pancrazio e S. Valburga si svolta in direzione Proves. Dopo pochi metri si segue una piccola strada a destra, passato il Rio Valsura, a sinistra si trova l’Oasi della quiete.
Le altre due si trovano nel comune di San Pancrazio. La prima è Bagno Lad(Bad Lad). Già conosciuta nel 1300, aveva dei bagni curativi annessi famosi fino alle guerre mondiali. Bagni che vennero demoliti nel 1948. Nel 2010 è stata creata una “oasi della quiete” dove si trova una fontanella che convoglia l’acqua della sorgente. Per raggiungerla basta seguire il sentiero Ultner Talweg che collega S. Pancrazio con S. Valburga. Dal centro del paese di S. Pancrazio sono circa 30 minuti.
Ma arriviamo finalmente ai famosi Bagni di Mezzo (Mitterbad). Famosi perchè rispetto agli altri bagni in valle ebbero frequentazioni illustri. I Bagni di Mezzo vengono menzionati per la prima volta nel 1418 con la denominazione “Walcherguet in Vlten in mitern Pad“ (podere di Walcher in Val d’ultimo nel Bagno di Mezzo). Agli inizi del 1800 erano considerati uno dei bagni più frequentati nell’area tedesca. Molti personaggi conosciuti facevano visita ai Bagni, come ad esempio Otto von Bismarck, l’imperatrice Elisabetta d’Austria (la famosa Sissi), i fratelli Heinrich e Thomas Mann ed il pittore Franz von Defregger. I Bagni furono gestiti fino al 1971.
Purtroppo questo sito storico versa oggi in condizioni pessime. Decenni di abbandono fanno solo lontanamente intuire la vita che animava questi famosi bagni termali che si trovano immersi in un magnifico bosco con faggi e abeti secolari. Sic transit…possiamo dire che non gli è toccata la sorte fortunata dei Bagni di Sopracqua e il fatto che il terreno sia di proprietà privata, suddiviso tra molteplici eredi non prevede per questo luogo un futuro più roseo.
Annessa ai bagni sorgeva una piccola cappella intitolata ai santi Cosma e Damiano, i santi medici. In origine già nel XVII sec. ci sono testimonianze di una piccola cappella, ma i resti che si possono vedere oggi risalgono al 1840. La cappella presenta un piccolo campanile a vela con una campana del 1636 e tutto l’insieme versa oggi, purtroppo nello stesso stato di abbandono della struttura termale.
Per raggiungere il sito: verso la fine del paese di S.Pancrazio si trovano le indicazioni prima della galleria sulla sinistra. Si percorre una stradina che oltrepassa la diga di Alborelo e che in un paio di chilometri permette di arrivare al sito. A piedi: da S.Pancrazio si prende il sentiero n. 28B. Da qui si può proseguire per la cima del Monte Luco.
C’è stato un tempo in cui i giovani cercavano di allontanarsi dalle valli: vita dura, poche opportunità spingevano a spostarsi verso le città. Negli ultimi decenni le tendenze stanno lentamente cambiando. I mezzi di spostamento, il turismo, la consapevolezza di poter valorizzare un territorio che è sicuramente difficile ma altrettanto gratificante: tutto questo spinge tanti giovani a rimanere oppure a tornare dopo esperienze in altri luoghi.
Michael Schwienbacher è tra i giovani che non hanno mai preso in considerazione l’idea di spostarsi. I genitori hanno un maso con terra e animali a 1.700 metri, ma soprattutto gestiscono le malghe Flatchberg, di cui già abbiamo parlato. Il lavoro è da sempre nel loro DNA: orari pesanti, terreni impervi, clima difficile (in questo 2023 si è vista la neve a fine aprile) ed un sorriso per accogliere chi si presenta alla malga. Intendiamoci non un sorriso forzato, un sorriso di vera accoglienza, di qualcuno che ama il suo lavoro, di un cuore aperto al prossimo che ti fa tornare a trovarli ancora ed ancora. A tutto questo si aggiunga che la lavorazione del legno nelle valli da sempre fa parte della cultura locale e che la figura del falegname è necessaria più che altrove.
In questo contesto è cresciuto Michael, un giovane di 28 anni con una formazione incentrata sulla lavorazione del ferro, che ora, per passione, lavora il legno con un entusiasmo che gli fa illuminare gli occhi quando parla dei suoi oggetti.
Ciascun oggetto nasce quasi per caso, guardando un pezzo di legno trovato. A seconda dell’essenza nascono oggetti diversi, ogni legno ha infatti una sua caratteristica: più duro il cirmolo, più facile da lavorare il tiglio, profumatissimo il larice, venato quasi come fosse ulivo, il legno di acacia. Tra una scalpellata e una lavorazione al tornio prendono vita ciotole, vasi, lampade e qualsiasi cosa venga suggerita dal materiale e dalla sua forma. Nel laboratorio aleggia un profumo di resina che sembra di fare aromaterapia, e come se non bastasse, guardare fuori dalla finestra completa il percorso sensoriale. Tenere in mano questi oggetti fa sentire l’amore per il materiale, la passione e la creatività di chi li ha creati.
Se volete vedere e acquistare questi oggetti potete trovarli ai mercati dell’artigianato dell’Alto Adige, in particolare ad un circuito di mercati itineranti del “fai da te” chiamato appunto Selber Gmocht, oppure contattarlo direttamente.
Michael Schwienbacher – flatschrwooddesign@gmail.com
Lo trovate anche su Instagram: @flatschrwooddesign
La Val d’Ultimo è stata per anni fuori dai circuiti noti del turismo altotesino. Il turismo estivo solo nell’ultima quindicina d’anni ha preso piede, mentre d’inverno veniva frequentata soprattutto per gli impianti sciistici (i primi impianti di risalita dello Schwemmalm risalgono al 1976 ma erano altro rispetto a comprensori ben più noti). Eppure, proprio negli anni in cui la valle era sconosciuta ai più, proprio qui, si accese una stella nel panorama gastronomico dell’Alto Adige.
Giancarlo Godio, dalla gavetta alla stella Michelin: con la gestione della mensa Enel a Fontana Bianca, ha incantato con la sua cucina tanto da diventare uno dei primi cuochi dell’Alto Adige ad ottenere una stella Michelin, il primo con un ristorante a 2.000 metri!
Ma facciamo un passo indietro. Giancarlo Godio nacque nel 1934 a Parigi (dove i suoi genitori si trovavano per un periodo) ma era originario del Piemonte. Dopo una lunga gavetta approdò all’ “Aquila” di Ortisei: qui, il suo stile, la sua ricerca di perfezione, la sua creatività, la capacità innovativa, lo portarono ad essere rapidamente scelto come primo chef. Ed è a Ortisei che conobbe la moglie Elisabeth originaria della Val d’Ultimo. Con lei si avventurò nel 1957 a Vigo di Fassa, per un’altra esperienza lavorativa, sempre con lei nel 1970 arrivò a Fontana Bianca. Qui i due coniugi presero la gestione della mensa Enel, fino a quel momento in mano ai genitori di Elisabeth. Qui Giancarlo Godio iniziò la sua parabola ascendente. A Fontana Bianca affinò le sue capacità, “lavorò senza compiere il passo più lungo della gamba, con umiltà, spontaneità, coraggio.”
“Godio andava nella sua direzione, lasciando l’erba della pianura, puntando in alto verso boschi e rocce, il suo mondo, pieno di aspettative, ben determinato a realizzarle.”
E qui, alla mensa Enel, Godio iniziò a richiamare la folla con un incessante passaparola che fece diffondere rapidamente la voce. Il ristorante divenne conosciuto ed apprezzato, Godio preparava menù a sorpresa per i commensali ed in tempi non sospetti, era un tenace sostenitore del chilometro zero. Se già oggi andare a Fontana Bianca richiede qualche attenzione particolare sulla strada, ai tempi la percorrenza di questa impervia stradina, fatta e controllata dall’Enel, era una vera avventura. “La strada che porta a Fontana Bianca stretta e tutta curve, era stata aperta dall’Enel solo nel 1968…ma rimase a lungo in cattivo stato”. Eppure in questo luogo dimenticato, Godio nel 1973 ricevette la sua prima stella Michelin, e gli anni che seguirono videro personaggi di spicco (da Reinhold Messner a Giulio Andreotti), fare la processione per provare le sue creazioni, ma anche per godere della sua compagnia.
Fontana Bianca fu il luogo dove iniziò a brillare la sua stella ma anche il luogo da cui non volle mai separarsi. A 1.900 metri, con infrastrutture quasi inesistenti, lui trovò il suo regno. Anche se “in inverno la situazione si presentava critica e anche pericolosa. Nel giro di una notte poteva cadere anche un metro di neve…” nel 1986 ad esempio, la “neve aveva letteralmente ingoiato il territorio”.
“Fontana Bianca gli aveva dato l’occasione di diventare importante e contemporaneamente di restare sé stesso”.
Gli anni ’80 videro la sua consacrazione, decine i concorsi e le gare di cucina vinte, e tante le passioni (come quella per i funghi, la pesca, l’arte, l’intaglio) che riversava nelle sue creazioni. Chi ha qualche anno sulle spalle, ricorderà sicuramente un grande drago di legno su cui ci si poteva arrampicare, posto davanti alla genziana: era stato intagliato da Godio.
La sua stella brillò fino al 1993, momento in cui la guida Michelin, senza dare spiegazioni, gliela tolse. La perdita della stella fu per lui un momento cruciale e lo segnò profondamente. Ma il destino, pochi mesi dopo, gli fu ancora più avverso. Nell’ottobre del 1994, al rientro da una gita in Istria con amici, il piccolo velivolo su cui viaggiavano cadde rovinosamente e i tre amici morirono.
Per ricordare questo straordinario personaggio la Provincia autonoma di Bolzano e il Centro audiovisivi di Bolzano hanno realizzato qualche anno fa un docufilm che potete vedere al seguente link: https://youtu.be/FI1X07hdJ58
Inoltre, nel 2009 è uscito un libro molto particolare, per celebrare Giancarlo Godio. Il libro è una bellissima, inedita ed inconsueta biografia di questo “mago dei 2.000” che vi farà avvicinare anche alla Val d’Ultimo. Il titolo è “Blu. Giancarlo Godio. Una stella della bonne cuisine”. Blu come il cielo e blu come la Genziana, il nome del suo ristorante. Tutto ciò che è stato riportato tra virgolette sono citazioni dal libro. Il testo è stato premiato in Austria come il più bel libro del 2009, sia per la veste grafica innovativa che per il ritmo narrativo.
Ma la storia di Giancarlo Godio è stata anche ispirazione per uno spettacolo teatrale di e con Pino Petruzzelli, coproduzione Teatro Ipotesi e Teatro Stabile di Genova. Il monologo, che racconta la vita dello chef è stato “messo in scena” anche a Santa Gertrude, en plein air, qualche estate fa e, di nuovo in versione ridotta nell’estate 2024, a 30 anni dalla scomparsa del cuoco. Per chi volesse gustare qualche minuto dello spettacolo:
Ad ogni territorio le sue festività. Per chiunque sia stato bambino in Val Padana la data del 13 dicembre evoca ricordi. A Mantova, a Verona, a Bergamo a Brescia, in alcune città dell’Emilia Romagna, la notte tra il 12 e il 13 dicembre Santa Lucia porta i doni ai bambini. In Alto Adige, più vicino alle tradizioni del nord Europa, è San Nicola a portare i doni.
San Nicola è un Santo molto antico, nasce in Turchia nel 270 e diventa vescovo di Myra (Turchia). La sua fama rimane legata solo alla Licia per diversi secoli, fino al VII secolo, quando, di fronte alle coste dove sorgeva il santuario in suo nome, Bizantini e Arabi combatterono per la supremazia sul mare. Arrivò così il salto di status: Nicola diventò il punto di riferimento dei marinai bizantini e il loro protettore, trasformandosi da santo locale a santo internazionale. Il suo culto si espanse lungo le rotte marittime del Mediterraneo, arrivando a Roma e a Gerusalemme, poi a Costantinopoli, in Russia e nel resto dell’Occidente. Nel IX secolo si diffuse in Germania.
Dalla fine del XIII secolo, il 6 dicembre diventò il giorno in cui persone travestite da “vescovo Nicola” salivano sui loro scranni: la tradizione raggiunse il culmine nel XVI secolo (ma in alcuni luoghi persistette fino al XIX). E anche quando la Chiesa, scandalizzata, iniziò a vietare queste carnevalate pagane, Nicola sopravvisse nelle scuole e nelle case grazie ai bambini, che continuarono a festeggiarlo e a ricevere i suoi regali. La storia e la devozione per san Nicola è molto diffusa anche in due città italiane: Bari e Venezia. Dopo la caduta di Myra in mano musulmana, nel 1087 i baresi fecero una spedizione in quella città. Le reliquie, cioè le ossa, del santo, erano parte del bottino. Circa 10 anni dopo anche i veneziani puntarono su Myra e recuperarono altre ossa, lasciate dai baresi nella fretta. I veneziani trasportarono quei resti nell’Abbazia di San Nicolò del Lido, vantando pure loro il possesso delle spoglie del santo. Lo dichiararono protettore della flotta della Serenissima.
L’omone con la barba bianca e il sacco pieno di regali, invece, nacque in America dalla penna di Clement C. Moore, che nel 1822 scrisse una poesia in cui lo descriveva come ormai tutti lo conosciamo. Questo nuovo Santa Claus ebbe successo, e dagli anni Cinquanta conquistò anche l’Europa diventando, in Italia, Babbo Natale.
Oggi, in alto Adige come in molti paesi del Nord Europa, unendo tradizioni religiose e pagane, San Nicola gira per le strade acccompagnato dai “Krampus”, i diavoli che si occupano dei bambini che non sono stati buoni. I Krampus sono in genere impersonati da personaggi spaventosi che indossano pelli di capra e teste con maschere. Hanno dei campanacci legati al corpo per fare più rumore possibile, inoltre vengono utilizzate anche una verga o delle catene di ferro. San Nicola, invece ha il vestito da Vescovo con tanto di tiara e di bastone pastorale.
Negli ultimi anni le “sfilate” di Krampus sono diventate sempre più numerose e sempre più i turisti che si accalcano per vederle. Krampus “professionisti” da tutto l’Alto Adige sfilano con i loro costumi sempre più paurosi.
Ma dove la tradizione resta pacata, la magia dei bimbi che aspettano la carrozza con a bordo San Nicola, che accompagnato dagli angeli, dispensa i classici sacchettini rossi colmi di dolcetti, arachidi e mandarini, lascia ancora sognare.
L’autunno rivela sempre qualche sorpresa per quanto riguarda il meteo: ci sono stagioni soleggiate e calde, altre con venti imprevisti o addirittura neve come accaduto nei recenti 2020 e ancora nel 2023. Quello che non cambia mai in questo periodo è tuttavia l’attenzione rivolta dalle persone ai loro cari defunti. I giorni compresi tra il 31 di Ottobre e il 2 Novembre se siete in zona dedicate un po’ del vostro tempo a visitare i cimiteri annessi alle bellissime chiese della Val d’Ultimo. Normalmente in tutti i cimiteri troviamo fiori freschi, le tombe sistemate e pulite, ma in Alto Adige le attenzioni per i propri defunti hanno, in genere un tocco più “personale”. I cimiteri diventano una sorta di tavolozza con candele sempre accese, fiori secchi, fiori freschi, pigne e ogni altra cosa fornisca la natura per creare ghirlande e composizioni.
Un giorno prima di Ognissanti, il 31 ottobre, mentre altrove si festeggia Halloween, i bambini della Val d’Ultimo si lanciano in una vera e propria spedizione e vanno di porta in porta a elemosinare Krapfen dolci, recitando a memoria le strofe rimate della tradizione. Non a caso li chiamano “Krapfenlotterer”, i mendicanti dei Krapfen, un’antica usanza quasi dimenticata e ritornata in auge grazie alle nuove generazioni. Il papavero ha una sua tradizione in Val d’Ultimo. I tipici krapfen al papavero si degustano in occasione di matrimoni, al termine del raccolto ed in particolari festività, e così per la festa di Ognissanti.
https://www.suedtirolprivat.com/
Giancarlo Godio. Una stella della bonne cuisine. Ed. Gamsblut
L’alto Adige è una terra ricca di acqua, in particolare di acqua minerale. Nel 2000 la Giunta Provinciale della provincia di Bolzano ha riconosciuto come minerali le acque di 30 sorgenti dell’Alto Adige. Fin dall’antichità le acque altoatesine erano considerate importanti per la salute dell’uomo e da secoli vengono utilizzate per la cura di disturbi e malattie. Per questo, soprattutto a partire dal XIX secolo si affermò la tradizione dei bagni rustici che sopravvisse fino alla Prima guerra mondiale. La Val d’Ultimo può vantare ben 4 di queste sorgenti con proprietà e minerali disciolti differenti. Noi vogliamo raccontare di una di queste sorgenti: la sorgente di Oltre Acqua (o Sopracqua).
Quando la Provincia riconobbe le 30 sorgenti venne predisposta una piccola fontana, poco più sotto rispetto alla captazione della fonte; la fontana spicca per il colore rosso che resta sul terreno.
Nei pressi di questa fontana si trovava un edificio storico, fortemente ammalorato, che recava una vecchia insegna indicante la presenza di una locanda con annessi bagni. In Val d’Ultimo tra la fine dell’800 e l’inizio del ‘900 erano presenti diversi bagni, tra cui i Bagni di Mezzo, famosi ben oltre i confini e frequentati da personaggi illustri come Bismarck, Thomas Mann, l’imperatrice Elisabetta d’Austria. Poi c’erano i bagni frequentati dalla gente del posto bisognosa di cure. Le persone che non potevano permettersi vitto negli stabilimenti arrivavano con i carretti con le vivande per il soggiorno. Uno dei bagni “del popolo” era proprio quello della sorgente di Oltre Acqua. Nel 1826 già ci sono tracce scritte che testimoniano la presenza di uno stabilimento, ma nel 1876 l’edificio viene risanato e rimane inalterato fino ai giorni nostri, o quasi.
Per anni, passando per andare verso la sorgente, la vista di questo edificio storico sempre più compromesso lasciava stupiti e dispiaciuti. Ma finalmente, nel 2017, iniziarono i lavori di recupero e lo stabilimento con locanda rinasceva lentamente a nuova vita.
Sono Veit e Rita, meranesi, a comprare l’immobile e il terreno dei bagni di Oltre Acqua. L’edificio, rimasto immutato dal 1876, viene restaurato lasciando inalterata la cubatura, la struttura e sicuramente il fascino originario. L’immobile è messo sotto tutela delle Belle Arti, il legno viene recuperato e sabbiato, vengono ripristinati la veranda e i ballatoi. Al piano terra vengono create due sale da pranzo con una stube perfettamente in armonia con il luogo. Al piano superiore due suites e al piano inferiore vengono ricreati i bagni, con tutti i comfort di oggi, il rispetto delle norme sull’igiene ma il fascino di altri tempi.
L’atmosfera che si respira alla Locanda non finisce all’interno. All’esterno vengono poste delle vasche da cui sgorga acqua della sorgente, ma poiché la natura è stata particolarmente generosa con questo luogo, ci sono più punti di captazione dell’acqua e così si trovano acque con caratteristiche leggermente diverse da una vasca all’altra. L’esterno è poi meravigliosamente completato con un sentiero nel bosco dove si trovano punti per cimentarsi nei giochi o semplicemente riposare ascoltando le acque del Valsura che scorre a fianco.
Come in tutti i posti però sono le persone a dare quel “qualcosa in più” che ti fa venire la voglia di tornare o di raccontare agli amici l’esperienza vissuta. Veit e Rita accolgono gli ospiti con un sorriso ed una cordialità che fa sentire a proprio agio. L’amore e la cura messi in questo posto traspaiono in ogni particolare. Rita è l’anima della casa e il trasporto con cui ha curato la rinascita di questo “pezzo di storia” si coglie ad ogni sua parola. Alla Locanda di Oltre Acqua si può mangiare, dormire, fare i bagni: basta prenotare. Tel. 349.7100951 – ueberwasser.ulten@gmail.com – www.badueberwasser.it
Come arrivare: all’ingresso del paese di Santa Valburga, venendo da San Pancrazio, subito dopo il parcheggio del Municipio e il ponte, si scende a sinistra con una strada piuttosto ripida (zona campi sportivi). Dopo meno di un chilometro si può lasciare l’auto prima del ponte sul Valsura e proseguire a piedi. In cinque minuti, a destra dopo il ponte ci si trova davanti l’edificio dei bagni. Proseguendo per altri cinque minuti si arriva alla fontanella della sorgente. Nota: per informazioni sulle sorgenti è possibile consultare l’ampio archivio di documenti messi a disposizione dal sito della provincia autonoma di Bolzano. In particolare alcune informazioni di questo post derivano da “Preziosi zampilli dalla roccia profonda” , Ufficio gestione risorse idriche
Parlando di passeggiate abbiamo accennato al “sentiero dei masi” (Hofeweg), ma cosa sono i masi?
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Il maso è sostanzialmente un’azienda agricola autosufficiente costituita da una proprietà fondiaria, una abitazione (o più abitazioni) e, in genere, stalla e fienile. La maggior parte dei masi oggi riconosciuta è di tipo “chiuso”. Al censimento del 2010 in Alto Adige si contavano circa 20.000 masi di cui più di 13.000 chiusi. Il maso chiuso è un istituto tipico dell’Alto Adige e più in generale di tutto il Tirolo. Consiste in una azienda a carattere agricolo e forestale-pastorale comprendente una casa di abitazione, che non si può ridurre con vendite parziali ma si deve trasmettere intera tramite un atto tra vivi o per successione a un solo erede preferito. Questo istituto preservava dalla frammentazione delle proprietà e storicamente è stato un argomento molto dibattuto. La normativa attualmente in vigore è una legge provinciale 2001. La Provincia Autonoma di Bolzano regolamenta il maso chiuso che deve essere riconosciuto da una apposita commissione e la Corte Costituzionale ha stabilito con varie sentenze che la competenza giurisdizionale della Provincia sui masi chiusi può riguardare anche norme processuali.
L’attribuzione “maso avito” (Erbhof) onora quelle famiglie che da almeno 200 anni, e quindi per numerose generazioni, sono rimaste nel maso per via ereditaria diretta. Il maso deve essere un maso chiuso e il proprietario deve abitare nel maso e coltivarlo