C’è stato un tempo in cui i giovani cercavano di allontanarsi dalle valli: vita dura, poche opportunità spingevano a spostarsi verso le città. Negli ultimi decenni le tendenze stanno lentamente cambiando. I mezzi di spostamento, il turismo, la consapevolezza di poter valorizzare un territorio che è sicuramente difficile ma altrettanto gratificante: tutto questo spinge tanti giovani a rimanere oppure a tornare dopo esperienze in altri luoghi.
Michael Schwienbacher è tra i giovani che non hanno mai preso in considerazione l’idea di spostarsi. I genitori hanno un maso con terra e animali a 1.700 metri, ma soprattutto gestiscono le malghe Flatchberg, di cui già abbiamo parlato. Il lavoro è da sempre nel loro DNA: orari pesanti, terreni impervi, clima difficile (in questo 2023 si è vista la neve a fine aprile) ed un sorriso per accogliere chi si presenta alla malga. Intendiamoci non un sorriso forzato, un sorriso di vera accoglienza, di qualcuno che ama il suo lavoro, di un cuore aperto al prossimo che ti fa tornare a trovarli ancora ed ancora. A tutto questo si aggiunga che la lavorazione del legno nelle valli da sempre fa parte della cultura locale e che la figura del falegname è necessaria più che altrove.
In questo contesto è cresciuto Michael, un giovane di 28 anni con una formazione incentrata sulla lavorazione del ferro, che ora, per passione, lavora il legno con un entusiasmo che gli fa illuminare gli occhi quando parla dei suoi oggetti.
Ciascun oggetto nasce quasi per caso, guardando un pezzo di legno trovato. A seconda dell’essenza nascono oggetti diversi, ogni legno ha infatti una sua caratteristica: più duro il cirmolo, più facile da lavorare il tiglio, profumatissimo il larice, venato quasi come fosse ulivo, il legno di acacia. Tra una scalpellata e una lavorazione al tornio prendono vita ciotole, vasi, lampade e qualsiasi cosa venga suggerita dal materiale e dalla sua forma. Nel laboratorio aleggia un profumo di resina che sembra di fare aromaterapia, e come se non bastasse, guardare fuori dalla finestra completa il percorso sensoriale. Tenere in mano questi oggetti fa sentire l’amore per il materiale, la passione e la creatività di chi li ha creati.
Se volete vedere e acquistare questi oggetti potete trovarli ai mercati dell’artigianato dell’Alto Adige, in particolare ad un circuito di mercati itineranti del “fai da te” chiamato appunto Selber Gmocht, oppure contattarlo direttamente.
Michael Schwienbacher – flatschrwooddesign@gmail.com
Lo trovate anche su Instagram: @flatschrwooddesign
La Val d’Ultimo è stata per anni fuori dai circuiti noti del turismo altotesino. Il turismo estivo solo nell’ultima quindicina d’anni ha preso piede, mentre d’inverno veniva frequentata soprattutto per gli impianti sciistici (i primi impianti di risalita dello Schwemmalm risalgono al 1976 ma erano altro rispetto a comprensori ben più noti). Eppure, proprio negli anni in cui la valle era sconosciuta ai più, proprio qui, si accese una stella nel panorama gastronomico dell’Alto Adige.
Giancarlo Godio, dalla gavetta alla stella Michelin: con la gestione della mensa Enel a Fontana Bianca, ha incantato con la sua cucina tanto da diventare uno dei primi cuochi dell’Alto Adige ad ottenere una stella Michelin, il primo con un ristorante a 2.000 metri!
Ma facciamo un passo indietro. Giancarlo Godio nacque nel 1934 a Parigi (dove i suoi genitori si trovavano per un periodo) ma era originario del Piemonte. Dopo una lunga gavetta approdò all’ “Aquila” di Ortisei: qui, il suo stile, la sua ricerca di perfezione, la sua creatività, la capacità innovativa, lo portarono ad essere rapidamente scelto come primo chef. Ed è a Ortisei che conobbe la moglie Elisabeth originaria della Val d’Ultimo. Con lei si avventurò nel 1957 a Vigo di Fassa, per un’altra esperienza lavorativa, sempre con lei nel 1970 arrivò a Fontana Bianca. Qui i due coniugi presero la gestione della mensa Enel, fino a quel momento in mano ai genitori di Elisabeth. Qui Giancarlo Godio iniziò la sua parabola ascendente. A Fontana Bianca affinò le sue capacità, “lavorò senza compiere il passo più lungo della gamba, con umiltà, spontaneità, coraggio.”
“Godio andava nella sua direzione, lasciando l’erba della pianura, puntando in alto verso boschi e rocce, il suo mondo, pieno di aspettative, ben determinato a realizzarle.”
E qui, alla mensa Enel, Godio iniziò a richiamare la folla con un incessante passaparola che fece diffondere rapidamente la voce. Il ristorante divenne conosciuto ed apprezzato, Godio preparava menù a sorpresa per i commensali ed in tempi non sospetti, era un tenace sostenitore del chilometro zero. Se già oggi andare a Fontana Bianca richiede qualche attenzione particolare sulla strada, ai tempi la percorrenza di questa impervia stradina, fatta e controllata dall’Enel, era una vera avventura. “La strada che porta a Fontana Bianca stretta e tutta curve, era stata aperta dall’Enel solo nel 1968…ma rimase a lungo in cattivo stato”. Eppure in questo luogo dimenticato, Godio nel 1973 ricevette la sua prima stella Michelin, e gli anni che seguirono videro personaggi di spicco (da Reinhold Messner a Giulio Andreotti), fare la processione per provare le sue creazioni, ma anche per godere della sua compagnia.
Fontana Bianca fu il luogo dove iniziò a brillare la sua stella ma anche il luogo da cui non volle mai separarsi. A 1.900 metri, con infrastrutture quasi inesistenti, lui trovò il suo regno. Anche se “in inverno la situazione si presentava critica e anche pericolosa. Nel giro di una notte poteva cadere anche un metro di neve…” nel 1986 ad esempio, la “neve aveva letteralmente ingoiato il territorio”.
“Fontana Bianca gli aveva dato l’occasione di diventare importante e contemporaneamente di restare sé stesso”.
Gli anni ’80 videro la sua consacrazione, decine i concorsi e le gare di cucina vinte, e tante le passioni (come quella per i funghi, la pesca, l’arte, l’intaglio) che riversava nelle sue creazioni. Chi ha qualche anno sulle spalle, ricorderà sicuramente un grande drago di legno su cui ci si poteva arrampicare, posto davanti alla genziana: era stato intagliato da Godio.
La sua stella brillò fino al 1993, momento in cui la guida Michelin, senza dare spiegazioni, gliela tolse. La perdita della stella fu per lui un momento cruciale e lo segnò profondamente. Ma il destino, pochi mesi dopo, gli fu ancora più avverso. Nell’ottobre del 1994, al rientro da una gita in Istria con amici, il piccolo velivolo su cui viaggiavano cadde rovinosamente e i tre amici morirono.
Per ricordare questo straordinario personaggio la Provincia autonoma di Bolzano e il Centro audiovisivi di Bolzano hanno realizzato qualche anno fa un docufilm che potete vedere al seguente link: https://youtu.be/FI1X07hdJ58
Inoltre, nel 2009 è uscito un libro molto particolare, per celebrare Giancarlo Godio. Il libro è una bellissima, inedita ed inconsueta biografia di questo “mago dei 2.000” che vi farà avvicinare anche alla Val d’Ultimo. Il titolo è “Blu. Giancarlo Godio. Una stella della bonne cuisine”. Blu come il cielo e blu come la Genziana, il nome del suo ristorante. Tutto ciò che è stato riportato tra virgolette sono citazioni dal libro. Il testo è stato premiato in Austria come il più bel libro del 2009, sia per la veste grafica innovativa che per il ritmo narrativo.
Ma la storia di Giancarlo Godio è stata anche ispirazione per uno spettacolo teatrale di e con Pino Petruzzelli, coproduzione Teatro Ipotesi e Teatro Stabile di Genova. Il monologo, che racconta la vita dello chef è stato “messo in scena” anche a Santa Gertrude, en plein air, qualche estate fa e, di nuovo in versione ridotta nell’estate 2024, a 30 anni dalla scomparsa del cuoco. Per chi volesse gustare qualche minuto dello spettacolo:
Ad ogni territorio le sue festività. Per chiunque sia stato bambino in Val Padana la data del 13 dicembre evoca ricordi. A Mantova, a Verona, a Bergamo a Brescia, in alcune città dell’Emilia Romagna, la notte tra il 12 e il 13 dicembre Santa Lucia porta i doni ai bambini. In Alto Adige, più vicino alle tradizioni del nord Europa, è San Nicola a portare i doni.
San Nicola è un Santo molto antico, nasce in Turchia nel 270 e diventa vescovo di Myra (Turchia). La sua fama rimane legata solo alla Licia per diversi secoli, fino al VII secolo, quando, di fronte alle coste dove sorgeva il santuario in suo nome, Bizantini e Arabi combatterono per la supremazia sul mare. Arrivò così il salto di status: Nicola diventò il punto di riferimento dei marinai bizantini e il loro protettore, trasformandosi da santo locale a santo internazionale. Il suo culto si espanse lungo le rotte marittime del Mediterraneo, arrivando a Roma e a Gerusalemme, poi a Costantinopoli, in Russia e nel resto dell’Occidente. Nel IX secolo si diffuse in Germania.
Dalla fine del XIII secolo, il 6 dicembre diventò il giorno in cui persone travestite da “vescovo Nicola” salivano sui loro scranni: la tradizione raggiunse il culmine nel XVI secolo (ma in alcuni luoghi persistette fino al XIX). E anche quando la Chiesa, scandalizzata, iniziò a vietare queste carnevalate pagane, Nicola sopravvisse nelle scuole e nelle case grazie ai bambini, che continuarono a festeggiarlo e a ricevere i suoi regali. La storia e la devozione per san Nicola è molto diffusa anche in due città italiane: Bari e Venezia. Dopo la caduta di Myra in mano musulmana, nel 1087 i baresi fecero una spedizione in quella città. Le reliquie, cioè le ossa, del santo, erano parte del bottino. Circa 10 anni dopo anche i veneziani puntarono su Myra e recuperarono altre ossa, lasciate dai baresi nella fretta. I veneziani trasportarono quei resti nell’Abbazia di San Nicolò del Lido, vantando pure loro il possesso delle spoglie del santo. Lo dichiararono protettore della flotta della Serenissima.
L’omone con la barba bianca e il sacco pieno di regali, invece, nacque in America dalla penna di Clement C. Moore, che nel 1822 scrisse una poesia in cui lo descriveva come ormai tutti lo conosciamo. Questo nuovo Santa Claus ebbe successo, e dagli anni Cinquanta conquistò anche l’Europa diventando, in Italia, Babbo Natale.
Oggi, in alto Adige come in molti paesi del Nord Europa, unendo tradizioni religiose e pagane, San Nicola gira per le strade acccompagnato dai “Krampus”, i diavoli che si occupano dei bambini che non sono stati buoni. I Krampus sono in genere impersonati da personaggi spaventosi che indossano pelli di capra e teste con maschere. Hanno dei campanacci legati al corpo per fare più rumore possibile, inoltre vengono utilizzate anche una verga o delle catene di ferro. San Nicola, invece ha il vestito da Vescovo con tanto di tiara e di bastone pastorale.
Negli ultimi anni le “sfilate” di Krampus sono diventate sempre più numerose e sempre più i turisti che si accalcano per vederle. Krampus “professionisti” da tutto l’Alto Adige sfilano con i loro costumi sempre più paurosi.
Ma dove la tradizione resta pacata, la magia dei bimbi che aspettano la carrozza con a bordo San Nicola, che accompagnato dagli angeli, dispensa i classici sacchettini rossi colmi di dolcetti, arachidi e mandarini, lascia ancora sognare.
Ed ecco una cima della valle poco frequentata, un po’ fuori dai circuiti più conosciuti. Questo 3.000 solo dal 2021 si può fregiare di una bella croce, fatta da un giovane falegname della valle (figlio dei gestori della Flatschbergalm, malga di passaggio per la cima) e portata a spalla, come vuole la tradizione, da un gruppo di volenterosi amici.
Con gli anni il percorso per questa vetta si è trasformato parecchio. Ha perso quasi tutti i passaggi su neve e ghiaccio e di conseguenza tanta dell’acqua che scendeva copiosa dai torrenti e, nel frettempo, sono un po’ peggiorati i punti esposti.
Il percorso non è lunghissimo: poco meno di 7 km partendo dal parcheggio ai masi Flaschöfe (sulla strada che da Santa Gertrude porta a Fontana Bianca) ma comporta un dislivello di circa 1.300 metri. Il cammino segue il segnavia n.143. Fino alla malga Hinterer Flatschberg (2.110) si segue una comoda mulattiera. Dalla malga parte il sentiero che fino ai 2.600 metri circa è molto tranquillo e sale nella vallata. Quando iniziano sassi e roccia il sentiero porta a costeggiare il canalone e qui alcuni tratti sono molto esposti senza che siano presenti ancoraggi come catene. Ai 2.892 metri si arriva al passo di Flim che permette di scendere verso la val Martello. Da qui parte l’ultimo tratto, tutto su roccia, con alti gradini da oltrepassare ma non particolarmente pericoloso. La cima è un pinnacolo dal quale guardare il panorama ma con spazi molto ristretti e molto esposti.
La salita richiede circa 3 ore e 30, allenamento e attrezzatura adeguati.
Una nota: parecchi sono gli incontri di animali al pascolo (mucche prima, cavalli, capre e pecore più in alto). Il percorso inoltre si trova nel Parco Naturale dello Stelvio, quindi non è infrequente avvistare la fauna tipica.
Nel famoso film “L’attimo fuggente”, Robin Williams sale sulla cattedra e invita gli studenti a fare la stessa cosa, allo scopo di provare a guardare le cose da angolazioni diverse, da una diversa prospettiva. A volte basta salire pochi centimetri, altre volte bisogna salire su una vetta. Forse questo è uno dei tanti motivi che spingono a salire sulle cime: non solo la camminata, la sfida, ma anche la possibilità di vedere la valle, le altre cime, altri valli, tutto da una prospettiva diversa. Se si cerca su Internet “guardare dall’alto” si trovano decine di suggerimenti per vedere Venezia dall’alto, Milano dall’alto…e così per decine di città: decine di suggerimenti per poter cambiare prospettiva. La montagna offre migliaia di questi suggerimenti: ogni salita permette di guardare il mondo da una angolazione diversa.
Ed…elevandoci un po’ ecco il lago Zoccolo e Pracupola alla fine di questa calda estate 2022
L’autunno rivela sempre qualche sorpresa per quanto riguarda il meteo: ci sono stagioni soleggiate e calde, altre con venti imprevisti o addirittura neve come accaduto nei recenti 2020 e ancora nel 2023. Quello che non cambia mai in questo periodo è tuttavia l’attenzione rivolta dalle persone ai loro cari defunti. I giorni compresi tra il 31 di Ottobre e il 2 Novembre se siete in zona dedicate un po’ del vostro tempo a visitare i cimiteri annessi alle bellissime chiese della Val d’Ultimo. Normalmente in tutti i cimiteri troviamo fiori freschi, le tombe sistemate e pulite, ma in Alto Adige le attenzioni per i propri defunti hanno, in genere un tocco più “personale”. I cimiteri diventano una sorta di tavolozza con candele sempre accese, fiori secchi, fiori freschi, pigne e ogni altra cosa fornisca la natura per creare ghirlande e composizioni.
Un giorno prima di Ognissanti, il 31 ottobre, mentre altrove si festeggia Halloween, i bambini della Val d’Ultimo si lanciano in una vera e propria spedizione e vanno di porta in porta a elemosinare Krapfen dolci, recitando a memoria le strofe rimate della tradizione. Non a caso li chiamano “Krapfenlotterer”, i mendicanti dei Krapfen, un’antica usanza quasi dimenticata e ritornata in auge grazie alle nuove generazioni. Il papavero ha una sua tradizione in Val d’Ultimo. I tipici krapfen al papavero si degustano in occasione di matrimoni, al termine del raccolto ed in particolari festività, e così per la festa di Ognissanti.
https://www.suedtirolprivat.com/
Giancarlo Godio. Una stella della bonne cuisine. Ed. Gamsblut
Per gli appassionati di running, ma non solo, vogliamo raccontare della “Corsa dei Masi” della Val d’Ultimo (o Ultner Höfelauf). Questa tradizionale corsa è diventata nel corso degli anni (quella del 2022 sarà la 16° edizione) una kermesse imprescindibile per grandi e piccoli, per sportivi e buongustai.
La gara, valida come competizione di montagna riconosciuta dalla FIDAL (Federazione Italiana di atletica leggera) vede impegnati dai bambini di 6 anni a salire, secondo percorsi e modalità diverse. Gli atleti si possono cimentare in un percorso di montagna lungo 18km che segue la via masi in un percorso ad anello.
Per tutti la giornata è comunque occasione di ritrovo, di svago e di…enogastronomia! La corsa, che parte nelle prime ore del mattino, è accompagnata da un ricco programma, che prevede musica e cibo. Gli stand gastronomici offrono tutti i prodotti tipici: piatti di selvaggina, carne allo spiedo, pesce, Strauben, krafen contadini ai semi di papavero e il menu si potrebbe allungare ancora. Una giornata all’insegna dello sport, del ritrovo e del buon bere e ben mangiare.
Per chi non conosce la valle questa giornata può essere l’occasione per scoprirla in un momento molto partecipato e sentito, una vera giornata di festa. E per gli appassionati di sci un ulteriore incentivo: spesso il via della gara, così come le premiazioni è affidato al campione Dominik Paris, residente e originario della Val d’Ultimo.
Per informazioni: https://www.merano-suedtirol.it/it/corsa-dei-masi-della-val-d-ultimo.html
Abbandonando la strada provinciale verso la fine del lago Zoccolo, in direzione della salita agli impianti del comprensorio dello Schwemmalm, si può proseguire verso il lago di Quaira. La strada sale per circa 7.5 km piuttosto tranquilla fino allo Steinrast, un bar/ristorante molto attivo nella stagione estiva. Gli ultimi 2,5 km sono un po’ più brutti, la strada è sempre un po’ sconnessa ed è aperta solo durante l’estate. Arrivati a circa 2.000 metri termina la strada e si trovano un parcheggio e la malga Kuppelwieser. Da qui è possibile prendere il sentiero 11A ed in circa 50 minuti salire a piedi verso il lago, oppure seguire la mulattiera che, nello stesso tempo, arriva alla diga.
La diga di Quaira è sicuramente la più imponente della valle ed il lago risulta circondato da rilievi importanti. La quota è di 2.250 metri e, a causa della strada, difficilmente lo si può raggiungere nella stagione invernale. Come tutte le mete della valle risulta essere di passaggio per diversi camminate. Solo da un paio di anni è stato segnato un nuovo sentiero (segnavia 11 A) che collega il lago con la cima del Mutegg (2.658mt , Monte Muta) e che permette quindi il collegamento con il comprensorio dello Schwemmalm. Salendo dal lago è possibile quindi scendere sul versante opposto e, volendo, ridiscendere con la funivia.
Ma dalla mulattiera partono altri sentieri. Uno in particolare è interessante: il sentiero 11. Questo sentiero permette di raggiungere una delle cime più ambite della val d’Ultimo: l’Hasenohr o Orecchia di Lepre. Con i suoi 3.257 metri non è una meta per tutti: dal parcheggio della malga servono più di 4 ore e il percorso è in più punti alpinistico. La vista è impagabile e sicuramente è una delle cime che richiedono più preparazione e allenamento.
Se il tempo e le forze non permettono di dirigersi verso l’Hasenohr, si può puntare tuttavia ai “Pilastri”. I pilastri (Pfeiler) sono i resti in pietra del canale irriguo di Tarsch che portava l’acqua dalla Val d’Ultimo alla Val Venosta notoriamente meno ricca di acqua. La sella in prossimità dei pilastri è quasi sempre battuta dal vento e offre una vista molto aperta sulla Val Venosta. E’ infatti possibile da qui scendere verso la Val Venosta, andando verso la malga di Tarres o verso quella di Laces. Per ridiscendere invece verso la Kuppelwieser alm si può seguire il sentiero 2A verso il passo di Tarres e poi scendere verso la mulattiera facendo un piccolo anello. Il tratto tra i Pilastri e il passo è abbastanza breve ma leggermente esposto e sempre battuto dal vento.
Ci sono luoghi che riescono a trasmetterci sensazioni ed emozioni forti. Uno di questi è la Flatschberg tal. E’ una piccola valle laterale che si trova oltre Santa Gertrude, proseguendo in direzione Fontana Bianca. Questa valle è particolarmente bella perché gode anche nelle stagioni con giornate più corte di una bellissima luce: il sole entra generoso grazie al suo orientamento, più di quanto faccia nel resto della Val d’Ultimo. E’ attraversata da un torrente che la rende particolarmente piacevole anche nei giorni estivi. Può essere di passaggio qualora si decidesse di fare un giro delle malghe, oppure di cimentarsi nella salita al Tufer Spitz (Cima di Tovo, 3.097 mt).
il sentiero n.12 che collega la malga Schusterhutte alla Hintere Flatschbergalm
Ma la passeggiata vale anche solo per una semplice andata e ritorno che abbia come meta la Hintere Flatschbergalm.
Questa malga, aperta al pubblico e rinnovata nel 2007, è uno di quei luoghi che danno un senso di tranquillità e dove ci si sente sempre ben accolti. La malga ha una storia molto interessante. Nel lontano 1886 il terreno veniva venduto da un proprietario di immobili di Parcines (Val Venosta), al Convento dell’Ordine Teutonico di Lana. Come si legge nel contratto: ” l’Alpe Flatschberg nella parrocchia di St. Gertraud in Ulten, ad Annerwerck, elencato nel Catasto dell’ex tribunale di Ulten sub. N° 480 per 85 capi di bovini, 12 cavalli e 100 capi di pecore; c’è un paddock e un alpeggio chiamato Holemahd; poi ai piedi di questa alpe una contrada in boschi di larici e pini, 100 ettari”.
Sostanzialmente questo territorio è stato ceduto in toto all’Ordine Teutonico di Lana e, da allora, la gestione delle malghe – hintere (2.110mt.) e aussere (1.900mt) – viene affidata secondo un regolare “appalto”.
Dal 2006 la malga è gestita dalla famiglia Schwienbacher (un cognome assai diffuso in Val d’Ultimo), che abita nei masi sottostanti e ha una lunga esperienza sia per quanto riguarda l’attività principale della malga sia per la ristorazione. Solitamente i primi giorni di giugno (o un po’ più avanti negli anni molto freddi come il 2021), una novantina di capi che arrivano anche da piuttosto lontano si aggiungono a quelli della famiglia per passare l’estate sui pascoli. E mentre le mucche sono al pascolo, Irmgard e la figlia Marlen accolgono chi si ferma a mangiare con un sorriso, tanta cordialità e ottimi piatti!
La cucina lascia incantati e offre piatti tipici della tradizione …a km zero. Se decidete di programmare un giro e di fermarvi alla malga, lasciatevi consigliare sui piatti preparati. I dolci sono veramente il meglio che possiate assaggiare! Se siete fortunati potete trovare lo strudel di mele, di albicocche o un dolce di papavero. I dolci con i semi di papavero in Alto Adige hanno una lunga tradizione e in Val d’Ultimo diversi sono i contadini che hanno l’autorizzazione per coltivarli. Marlen acquista i baccelli dei fiori essiccati e macina i semi in casa per avere la giusta consistenza per i suoi dolci.
Per tutta l’estate l’accoglienza avviene alla malga “alta”, mentre durante l’inverno è possibile fermarsi alla malga “bassa” solo nel fine settimana. Per gli sci alpinisti o per chi vuole slittare è meta di ristoro tanto quanto per i camminatori durante la bella stagione.
Indicazioni: si può lasciare l’auto in prossimità del piccolo parcheggio sulla strada per Fontana Bianca dove si trova il semaforo per gli autobus, oppure poco prima, si prende una stradina sulla destra con l’indicazione del parcheggio. Si sale con una piccola strada e si trova un ampio parcheggio sterrato da cui parte la mulattiera. Il percorso richiede circa un’ora, ma come sempre dipende dall’allenamento. Da provare anche durante l’autunno quando le mucche sono ormai scese dai pascoli e i colori dei boschi si tingono di giallo, ma anche con la neve d’inverno.
Tra i pascoli della valle si possono trovare numerose malghe che con gli anni sono state sistemate e tante offrono ospitalità per un pasto, alcune anche per il pernottamento. Sono posizionate tra i 1.600 mt. e i 2.300 mt, alcune facilmente raggiungibili con ampie mulattiere, altre richiedono un cammino più lungo e sentieri piuttosto ripidi. Da una decina di anni, con l’arrivo della funivia le malghe del versante nord sono un po’ più affollate perché più facilmente raggiungibili.
Alcune, come la Spitzner Alm (1.856 mt.) sul versante opposto, godono di un panorama molto aperto e una spettacolare vista sulla valle, altre sono più immerse nel bosco e riparate. Tutte valgono una visita. In genere sono aperte da giugno (stagione permettendo) fino alla metà di settembre, in occasione della festa della transumanza, il ritorno dai pascoli.
Ricordate che le malghe NON sono ristoranti in città: il cibo viene preparato al momento ed è a chilometro zero quindi spesso i piatti sono pochi: quelli della tradizione. Non si paga con il bancomat (tranne in pochi casi) e se si vuole mangiare, occorre…pazientare e godersi il panorama!
In Val d’Ultimo quasi sempre si possono trovare canederli, Kaiserschmarren (una frittata dolce con mirtilli rossi), può esserci carne, formaggio, speck e strudel.
Le malghe in Alto Adige hanno origini lontane, dettate dalla ricerca di alpeggi dove le mucche (ma anche pecore e capre e cavalli) potessero mangiare preservando i prati a valle ed evitando di dover integrare il pascolo con foraggio aggiuntivo. Il latte prodotto durante l’estate in alpeggio (così come tutti i prodotti derivati), inoltre è di qualità eccelsa: la varietà delle erbe è incredibilmente maggiore in quota. Molte malghe producono solo latte che viene portato a valle, altre hanno un piccolo caseificio annesso dove il latte viene lavorato sul posto. La provincia autonoma di Bolzano favorisce la gestione compatibile dei pascoli dando premi per la gestione delle malghe e per la produzione di formaggi in loco.
L’Alto Adige conta circa 1.500 malghe di cui circa il 75% di proprietà privata, il rimanente di proprietà di consorzi, enti locali o altri tipi di enti (anche della Chiesa). L’importanza rivestita dalle malghe è indubbia: dal punto di vista naturalistico, ambientale, turistico. Per maggiori informazioni sulle malghe dell’Alto Adige: https://www.provincia.bz.it/agricoltura-foreste/bosco-legno-malghe/default.asp
E per ricordare le buone norme quando si incontrano gli animali in alpeggio, la provincia di Bolzano ha rilasciato questa brochure, scaricabile con il pulsante sottostante sui comportamenti da tenere: